Forse fu Raboni a dire: «L'inflazione fa sparire le monete d'oro, ma il loro valore nell'ombra si moltiplica. E anche se al presente il piombo sembra prevalere, il futuro si fonderà sulle risorse invisibili.»
Giovanni Raboni è morto da quasi quattro anni, a Parma, per un attacco cardiaco: "uno dei migliori poeti contemporanei, un critico attento e poco disposto a far passare opere mediocri..."
Ho ritrovato in una cassa di cartone un suo articolo sulla poesia, che considero il suo testamento:
egli parla malissimo, in genere, e per ovvii motivi, delle letture pubbliche di poesie:
"A cosa servono le letture di poesie?... a niente - a niente che non sia, appunto, la perpetuazione dell'orrendo moto circolare che collega la vanità dei poeti "arrivati" alla vanità dei poeti che...credono di intravvedere lo striscione del traguardo (...) in occasione di queste lugubri cerimonie dalle quali rifuggo ora come dal più avvilente dei contagi (...) è un anello dell'implacabile catena di Sant'Antonio, con cui una società che odia e teme la poesia tenta di disinnescarla, di sigurarla, di annichilirla, trasformandola in un vizio o vezzo collettivo tanto ridicolo quanto innocuo..."
"una morte attesa [da Raboni] con sereno distacco, come traspare dai versi conclusivi del componimento finale del suo ultimo libro, “Barlumi di storia” (2002):
Si farà una gran fatica, qualcuno
direbbe che si muore - ma a quel punto
ogni cosa che poteva succedere
sarà successa e noi
davanti agli occhi non avremo
che la calma distesa del passato …
E tutto, anche le foglie che crescono,
anche i figli che nascono
tutto, finalmente, senza futuro”.
Anche se Raboni era precocemente invecchiato, inasprito dai dissidi "in" e "out" le varie cosiddette società letterarie ecc., il suo modo di vedere e criticare "in crisi" - insomma il suo punto di vista original-creativo è cmq più che rispettabile, e per questo sarebbe bene non dimenticarlo - e tenerlo in ogni caso in conto.
Ricordo altresì che il critico Emilio Cecchi, quando Quasimodo si guadagnò il premio Nobel, non gli risparmiò velenose frecciate dalla terza pagina del "Corriere della Sera": "A caval donato non si guarda in bocca!"
Quando Lawrence Durrell domandò a un membro dell'Accademia di Svezia cosa aspettavano a dare il Nobel a Henry Miller, il membro suddetto rispose seriosamente: "Aspettiamo che H. M. diventi una persona rispettabile!" - Quando H. Miller lo seppe, fece una tenera alzata di spalle che significava pressapoco: "Per un poco di buono come me, la parola rispettabile non è in catalogo!"
giovedì 1 maggio 2008
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